Aprile 30, 2024

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Clizia Fornasier: “Nei miei libri mi metto a nudo più che in passerella. Donne, giochiamo di squadra!”

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Modella, attrice e scrittrice. Ma la cronologia ufficiale della carriera di Clizia Fornasier non rispecchia quella ufficiosa. Penna in mano e una missione da sempre: dare valore alle parole, non perderne neanche una. In un’intervista ai nostri microfoni, l’interprete di film come ‘Notte prima degli esami – Oggi’ e ‘Tutti pazzi per amore’ ha ripercorso la sua vita. Carriera iniziata con il titolo di ‘Miss Modella Domani‘, e arricchita da un progetto sulla violenza contro le donne, “Scrivo per un’amica”. Domenica scorsa, poi, è tornata a ‘Quelli che il calcio’, programma in onda su Rai 2 di cui è stata in passato ospite fissa. Direttamente dal Bentegodi si è goduta la gara tra Hellas Verona, di cui è tifosa, e Lazio.

  • Sei stata una delle poche a potersi godere Verona – Lazio dal Bentegodi in collegamento a “Quelli che il calcio”. Ci racconti le tue sensazioni sulla partita?

“È stata una partita molto equilibrata, fino a un certo punto non è stata memorabile. Ciro Immobile non segna da un po’, io non ho detto niente perché poi ho pensato ‘se succede, mi prendono per un gufo’. Però speravo non si sbloccasse proprio contro il Verona. Lo stimo, sono molto amica anche della moglie. Perdere in questo modo mi ha abbattuto moltissimo, però è tipico della Lazio segnare durante il recupero. Non è stata una gara eccitantissima, perché è stata equilibrata, c’è stato anche molto fair play. Io sono sempre col patema d’animo quando vedo le partite dal vivo. Se c’è uno schermo, preferisco guardarle lì anche se sono allo stadio. Mi immedesimo troppo, non riesco a concentrarmi sul gioco in sé ma sono partecipe emotivamente”.

  • Modella e attrice, poi scrittrice. Scrivere libri è una sorta di sogno nel cassetto che hai potuto realizzare, o un’occasione che hai sfruttato ma a cui non avevi mai pensato prima?

“Modella non mi ci sono mai sentita. Mi sono sentita sempre fuori luogo. Non sento di somigliarmi, la persona che sono non somiglia all’involucro che portavo da diciottenne. Non sono mai stata convinta di me, non potevo avere un gran futuro sulle passerelle. Da quando ho visto ‘Labirinth’ poi ho deciso che il mio sogno sarebbe stato quello di diventare un’attrice. Ho sempre scritto, la scrittura viene prima della recitazione. Da quando ho scritto la prima parola, non ho mai smesso. Ci sono state delle coincidenze che hanno portato me ad avere il coraggio di dire ‘porto fuori questa storia dal cassetto’. L’ho portata a un agente, e da lì è nato il percorso della scrittura. Che è quello che mi fa sentire più me stessa in assoluto: mette più a nudo di una passerella”.

  • Hai interpretato ruoli diversi al cinema e hai raccontato la storia di tanti personaggi diversi nei tuoi libri. Come si fa a entrate talmente tanto nella parte, al punto da raccontarne sensazioni e stati d’animo?

“Sono una gran chiacchierona, ma anche una brava ascoltatrice. Ho un piccolo talento, quello dell’empatia. Con la donna poi ancor di più. Ho un amore per le donne, e questo non è semplice da riscontrare nel nostro sesso. Scrivo sempre per immagini, quando ascolto, vedo anche. E mi piace riportarlo e con le parole arrivare a quello che l’altra persona sente. Sono un’appassionata delle parole, penso che siano l’unico antidoto per salvarci da quest’epoca che è un po’ inaridente. Più parole si hanno, più si ha la possibilità di raccontare come si sta. Meno ne abbiamo, meno sentimenti e emozioni riusciremo a provare. È un po’ una missione, continuare a dare valore alle parole, non perderne neanche una”.

  • Ci racconti il progetto ‘Scrivo per un’amica’? Cosa ha significato per te stare così a stretto contatto con la violenza? O meglio, come riuscire a esserne coinvolta ma non “travolta” e poterla comunque raccontare?

“La mia agente mi ha coinvolto in questo progetto. Mi ha detto che a me aveva destinato la narrazione di una violenza fisica. Mi ha detto ‘tu devi parlare di una madre che subisce abusi da parte di un figlio’. Mettersi nei panni di qualcuno che subisce violenza dall’amore più grande della vita è la cosa più complicata del mondo. Ho pensato ‘dove si può trovare il coraggio di ribellarsi alla violenza di un figlio?’. Ho pensato anche che l’unico modo per salvarci sia proprio quello di fare squadra. Una madre deve pensare alle donne che verranno nella vita di un figlio, è sempre in nome del domani. Se non riusciamo a trovare amore per noi, dobbiamo farlo per chi verrà dopo. Se non bruciamo certe infezioni, il male continua a propagarsi. Fare in nome del dopo, del domani. Il punto dolente sono le risposte a queste richieste d’aiuto: sono deboli, passa sempre troppo tempo. E questo fa pensare al predatore di avere tempo di fare altro, e di non avere ancora commesso qualcosa di abbastanza grave da richiedere un intervento immediato”.

  • Da mamma, ti senti di rintracciare qualche responsabilità anche da parte dei genitori su quanto la violenza di genere sia frequente in Italia? E più in generale, sulla disparità tra sessi?

“Ci sono dei figli che crescono con grandi lacune affettive, e poi vanno alla ricerca spasmodica di affetto, ma un affetto malato. Sicuramente a noi madri spetta il compito di amare i nostri figli, di non farli crescere con delle lacune affettive. Il figlio inizia a guardare il modo vedendo la faccia della mamma. Bisogna fare i figli in modo responsabile, e dedicarcisi, non tanto qualitativamente ma quantitativamente. E poi bisogna portare in casa modelli d’amore sano, i bambini imparano guardando”.

  • Sembra molto difficile quando si tratta di donne andare oltre al concetto di “bella”, considerata magari solo per la sua esteriorità. Tu sei riuscita ad andare oltre. Che consiglio daresti a una ragazza che si trova in questa situazione e, più in generale, a coloro che vogliono lavorare nel mondo dello spettacolo?

“La bellezza impigrisce, porta in modo gratuito tanti benefici, tanti vantaggi. Io ho sempre avuto paura del tempo che passava, ho sempre guardato un po’ in prospettiva. Ho cercato di non lasciarmi cullare dai consensi facili, ho vissuto senza lo specchio in qualche modo. Il concorso di bellezza l’ho fatto perché mi ha iscritto mio padre, non ti dico i pianti! È giusto farne tesoro, è un dono. Se fossi una giovanissima bella ragazza, direi ‘un giorno questa cosa non l’avrò più. Vediamo cosa mi troverò in mano’. Direi di sentirsi vecchie quando si è giovani. Dimenticarsi in alcuni casi di essere belle, ma non condannare questo dettaglio di sé. Non ho mai capitalizzato la mia bellezza, ma non ci ho neanche mai campato”.

  • Ne “È il rumore delle onde che resta” parli di un amore che arriva inaspettatamente e sconvolge tutto il resto. È una fortuna che pensi di aver vissuto nella tua vita?

“Ne “È il rumore delle onde che resta” ho immaginato un po’ il mio sliding doors, come sarebbe potuta andare la mia vita se avessi fatto altre scelte. C’è molto di autobiografico, anche se non si direbbe mai. È un libro che racconta che c’è tempo, c’è tempo per un’occasione nuova. E poi, un’altra cosa importante: il passato può essere nascosto in una tasca, può essere buttato in mare, ma il madre porta indietro e la tasca te lo può far perdere ma non lo fa sparire. Bisogna avere il coraggio di affrontarsi, il nascondersi non funziona per tutta la vita. Prima o poi si fa i conti, però c’è sempre tempo di trovare una felicità nuova. E una delle chiavi è quella di perdonarsi, noi donne lo facciamo raramente”.

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